Voglio essere Natura
Nel panico desio
Di un cielo pallido
Che casca come un velo
Sul tuo corpo
Voglio essere Natura
Nel panico desio
Di un cielo pallido
Che casca come un velo
Sul tuo corpo
Sono innamorato dei tuoi sguardi
Prima tenerezza e immensa folgore
Che cade sulla terra sempre tardi
Obbligando la mia mente al Sol rivolgere,
Come l’Orbo innamorato del Narciso
Che rivede in mezzo al cielo
L’estensione decorata di un sorriso.
Pregna l’aria d’aroma
Di vino sapeva
Delicata.
Crescevan le rose
Nel mesto giardino
Perduto
Nel tempo di carta.
Ma la vita s’infrangeva
dietro i veli
di borgogna in sopraccielo
dell’estremo
talamo orgoglioso
della
decadente e nobiliare
dignità di una Roma
ormai ultimata.
“che smetto di scrivere
e poi non smetto mai.”
Vorrei fermarti dove sei.
Che con tutto il disprezzo e la mia contrarietà, in questo mondo, che ci appartiene, tornerai qui a tormentarmi e catturarmi.
Avvicinarmi piano mentre dormo.
Che tieni stretto il desiderio, accendi il dolore e non paghi l’affitto.
E tutte le volte che prometti di scordarmi, mi fai sudare come la gente; e divento geloso ma anche più insulso.
Che sento represso un senso di nausea, e tu sei lì, che non è qui, e poi ascoltarti piano, che mi estendi le visioni, e in fondo temere di inciamparti sul corpo! distrattamente.
E semmai sapessi l’ora del tuo risveglio, fiorirei i tuoi passi, accenderei il tuo Sole.
Ti porterei la musica, i sogni e le fiamme, orchestre di nuvole bianche come colazione.
E piangeremo insieme, per ridere meglio.
Che se diventassi vento ti solleverei, che la terra non è mica il cielo.
E potrei non volerti più, ma solo fino a domani.
A che scopo poi spiegarti cosa senti? Dissipandoti nel ventre del suo sguardo ti senti invadere di musica ed il tuo suono si trasforma. Gli occhi sanno accendere il bruciore delle rabbie, delle stragi della mente che ti immagini di notte, mentre attendi il sonno tuo, latente. È stata potenza, la grandezza del suo sguardo che ti impose la vita intorno all’animo. Poco t’importava se nel caso poi dovessi camminare sulle braci, sopra gli incubi distesi e incarceranti. E l’anima dissolve in tanta fretta. Ti vien da piangere, scappare! Riprendi a piangere e di colpo la memoria del passato ti inghiotte per errore. Un errore che hai commesso; che commetterai ancora, mille volte con dolore. E sarà sempre una ricerca continua; dei suoi occhi, il suo sorriso, il suo profumo.Cerchi in ogni dove il suo cammino. Del suo posto ne farai casa. Del suo corpo, desiderio.
E del suo nome ne farai il tuo.
E ci hai provato! ed hai fallito. Ma che importa? Riproverai ancora, e ancora fallirai. È che non ti senti di dover finire. Perché lui ti fa “tremar le vene e i polsi”. Eppure guardi il cielo! e dato che ci sei, tira un’occhiata fin dove arrivi! e poi raccontami.
Che io non vedo, che tengo gli occhi chiusi. Che forse sono un poeta, e vivo di sogni, e proprio non mi sento di dover finire.
Ed ecco qui che stai qui con te, nudo sotto un portico piovoso ed asfissiato dai vapori che hai fumato, quelle nebbie tenebrose con un mix di vandalismo e tanto alcol. Con la musica e il peccato, la dimenticanza ti ha assalito e per svago hai preferito il tuo dolore ai bei sogni. Che certo, ti ha tradito, s’è fatto qualcun altro e si è vantato!
Ma sei uscito, intingendo le tue lacrime d’azzurro, bagliore intenso, per fingere e inventare la tua nuova felicità; pronto, incauto, le caviglie strette che ti tengono su in piedi; la luce in mezzo agli occhi, sofferenti dei fumogeni attivati per negare lo sconforto.
E ti ripeti “non è niente!”, bagni le tue labbra con un succo rinfrescante.
Pettinato e profumato, decorato dai vestiti più cangianti che nascondono il tuo corpo, solo maglie firmate e boxer senza onore. Ti trascini, debole tra gli spettri di finzione, dentro un mondo artificiale creato su misura. Ti trascini coi tuoi cocktail tra i bar della città, deluso e troppo illuso dai tempi e spaventato, terrorizzato dagli spazi che ti accerchiano. Qui! Tu stai qui da solo, come sempre.
Poi lo pensi! Ed i pensieri tuoi, appannati, schiariscono del tutto in mezzo al buio. Pensi al profumo, al buon sapore, la sensazione del suo corpo, che lo tocchi e lo respiri; e le luci ti fanno sudare, lo sguardo del mondo vergognare. Inizi a sentire il tuo nome passare tra la bocca dei tanti, così fuggi, rispondi poi neghi e ti nascondi. E ti ripeti le parole, incapace di gestirle, di afferrarle, fuori di te.
Poi guardi altrove.
Ti senti un bambino disfatto, lasciato da solo in mezzo alle nuvole mentre fuori piove ed il cielo ti urla contro quanto hai sbagliato! e lo vedi, l’altro uomo che gli dorme accanto, che gli sfiora cauta la schiena, scivolando con le dita sul suo corpo mentre il tempo passa e non ti accorgi del silenzio che ti avvolge, ti incupisce e non riesci più a sfuggire.
E ti manca il respiro, ne senti la sete eppure quel che è fatto resta.
E lo sai, non puoi andare oltre, non puoi vestirti meglio e ritornare indietro. Puoi cntinuare a pensare e leggere l’angoscia, che ti sembra d’essere incapace a soffrire.
Ma tu sei una stella brilla, che si affligge nei suoi spazi violati da un estraneo che ha nutrito falsità ed emozioni. Tu ci pensi e poi lo chiami, col suo nome, come amore.
Come un angelo da collezione.
Nel mare sta disperso il sole
Ed io mi sdraio a terra
Ricercando tra la sabbia
Le tue mani
O forse un fiore.
Tremavo
Foglia in foglia
Senza forze
Dal capo tondo
Fin sul pube
Di ricci folto
Ramoscelli
E braccia umane
Terminassero le belve
Che mi mangiano l’interno
Mentre tutto fuori
Ciò che è bello è eterno.
Sto cadendo
come un angelo del cielo
che si scorda del paradiso
per un peccato che ha commesso,
uno sbaglio senza senso
colto al declinare
di un amore a senso aperto.
Sto cadendo
con le foglie morte dell’autunno,
plano sopra l’aria, impaziente
di toccare il suolo
finché non mi tocca una folata
che mi porta via,
lontano dai miei sogni;
che mi butta in mezzo al fango,
nell’orrore del pantano
Senza che possa allontanarmi,
immobile
sotto un albero che non mi appartiene.
Sto cadendo
dall’eccelso spazio intenso, trascinandomi le stelle
contro cui mi sbatto
e scivolando
tra la polvere spettrale
che abita l’universo.
Me ne stavo solo e distante dalla gente, abbarbicato nelle scale in condominio, senza dire una parola a quei passanti che scostavano il mio corpo, che cercavano il passaggio nella strada che abitavo. Urlava tutta intorno quella via già rumorosa, nel lutto del mio viso che proprio non vedeva niente. Poi s’immise l’uragano delle gambe lunghe e snelle di una donna gentilizia, che spingeva la mia giacca contro l’angolo, scocciata e incriminata d’adulterio, quando vidi la sua mano stretta a un uomo che pareva un altro uomo ma non proprio suo marito. Dunque scivolai sullo scalino un po’ più in basso e ancor più in basso quando le mie gambe vacillanti si ripresero, poi si alzarono inclinandosi e trottando. Continuando quella strada mai in discesa mi rivolsi tutto a un tratto ad un portone vecchio e logoro che spinsi senza sosta sulla strada. Ed un lampo… poi la notte! Solo notte ferma nel biancore della Luna, tempestiva nel fissarsi sull’asfalto lurido e distrutto. Poi mi volsi e mi rivolsi, volteggiando nel cinereo funerale della morte che non colse la mia anima, disposta contro il tempo a vagheggiare l’infinito senza mai più ritornare.
Sbigottiti gli occhi più non discernevano i termini e le proprietà ma s’illusero d’abitare una mobile visione priva di misure, in cui tutta la realtà si completava nella vita lucente e liquida, sospesa in una volta celeste galleggiante, dove una donna passò agilmente con il volto luttuoso, nobile e statuaria, luminosa lungo il seno di una pietra rossa silenziosa. Ed io come un matto nuovamente bevvi dal suo seno, dissipando la mia fame, a lungo ancorata sul mio corpo scarno e indebolito; mi distesi nel suo livido occhio di pianto poi d’un tratto la pioggia cadde.